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"Con il vostro irridente silenzio. Studio sulle lettere dalla prigionia e sul memoriale di Aldo Moro" - 2020

Ideazione, drammaturgia e interpretazione di Fabrizio Gifuni

Si ringraziano Nicola Lagioia e il Salone Internazionale del Libro di Torino, Christian Raimo per la collaborazione, Francesco Biscione e Miguel Gotor per la consulenza storica

Torino, Inaugurazione del 31° Salone Internazionale del Libro – 9 maggio 2018

Pordenone, Teatro Comunale Giuseppe Verdi – 16 maggio 2019

Roma, Teatro Vascello – dal 18 al 23 febbraio 2020

Roma, Teatro Vascello – 29 e 30 settembre 2020 e dall’1 al 4 ottobre 2020

Milano, Piccolo Teatro Grassi – dal 6 all’11 ottobre e dal 13 al 17 ottobre 2020

 

Aldo Moro durante la prigionia parla, ricorda, scrive, risponde, interroga, confessa, accusa, si congeda. Moltiplica le parola sulla carta, appunta a mano, su fogli di bloc-notes forniti dai suoi carcerieri: lettere scritte e recapitate e lettere censurate dai brigatisti, si rivolge ai familiari, agli amici, ai colleghi di partito, ai rappresentanti delle istituzioni; annota brevi disposizioni testamentarie.

E insieme alle lettere, nella sua prigione del popolo, compone un lungo testo politico, storico, personale: il cosiddetto memoriale, con le risposte e le considerazioni alle domande poste dai rapitori.

Le lettere scandiscono i 55 giorni del sequestro. Le prime tre lettere uscirono dalla prigione il 29 marzo, le ultime due il 5 maggio 1978. Il memoriale giunge a noi in tre differenti momenti, in tre versioni che in parte coincidono, nell’arco di dodici anni. Un primo estratto viene reso noto all’opinione pubblica durante il sequestro: il 10 aprile le Brigate rosse recapitano uno scritto contro il politico genovese Paolo Emilio Taviani; è l’unica parte del memoriale divulgata dalle Br. La seconda volta riappare a Milano in Via Monte Nevoso, ritrovato in un covo brigatista scoperto il 1° ottobre 1978 dal nucleo speciale antiterrorismo guidato dal generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: 49 fogli dattiloscritti che riportano una parte del memoriale più altre lettere. La terza volta è sempre a Milano, ancora nel covo di via Monte Nevoso, il 9 ottobre del 1990, nello stesso appartamento dove era avvenuto il precedente ritrovamento, dietro un pannello di gesso casualmente scoperto da un operaio nel corso di alcuni lavori di ristrutturazione dell’abitazione: 419 pagine di fotocopie questa volta dei manoscritti di Moro. Anche in quest’ultima circostanza si aggiungono altre lettere, alcune note altre censurate dai carcerieri.
Le lettere e il memoriale sono le ultime parole di Moro, l’insieme delle carte scritte nei 55 giorni della sua prigionia: quelle ritrovate, o forse sarebbe meglio dire quelle fino a noi pervenute.
Si tratta di un fiume di parole inarrestabile, che si cercò subito di arginare, silenziare, mistificare, irridere. Moro non è Moro, veniva detto. Stordito, impazzito, plagiato, eterodiretto, è vittima della sindrome di Stoccolma. Tutta la stampa, in modo pressoché unanime, martellò l’opinione pubblica tentando di sconfessare le sue parole, mentre Moro urlava dal carcere il proprio sdegno per quest’ulteriore crudele tortura. “È vero: io sono prigioniero e non sono in uno stato d’animo lieto. Ma non ho subito nessuna coercizione, non sono drogato, scrivo con il mio stile per brutto che sia, ho la mia solita calligrafia”. Perché non mi credete? Chi vi suggerisce di non credermi? Amici, non vi lasciate ingannare. Vi supplico in nome di Dio.
Ma se questo misconoscimento fu la posizione dominante tenuta da chi ascoltava le sue parole durante e dopo il sequestro, oggi cosa è cambiato? Non regna attorno a queste carte, a distanza di quaranta anni, ancora un silenzio assordante? Soltanto alcuni storici non smettono di studiarle; insieme a loro pochi giornalisti e alcuni appassionati del caso Moro hanno cercato lì dentro la filigrana della più grande crisi della repubblica. Queste centinaia di pagine, accorate, minuziosamente composte, così politiche e così private, così finali, a oggi sono ben lontane dall’essere una memoria collettiva o il patrimonio prezioso di una comunità.
Sappiamo però che i corpi a cui non riusciamo a dare degna sepoltura tornano periodicamente a far sentire la propria voce. Le lettere e il memoriale sono oggi due presenze fantasmatiche, il corpo di Moro è lo spettro che ancora occupa il palcoscenico della nostra storia di ombre.
Dopo aver lavorato sui testi pubblici e privati di Carlo Emilio Gadda e Pier Paolo Pasolini, con due spettacoli struggenti e feroci, riannodando una lacerante antibiografia della nazione, Fabrizio Gifuni si confronta con lo scritto più scabro e nudo della storia d’Italia; e attraverso un doloroso e ostinato lavoro di drammaturgia, porta alla serata inaugurale del Salone del libro di Torino uno studio in forma di lettura a partire dalle lettere e dal memoriale di Aldo Moro.