Ragazzi di vita - Foto di Esther Favilla

"Ragazzi di vita" di Pier Paolo Pasolini - 2015

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Gifuni nel gran racconto romano di Pasolini

Serata bella e importante quella del 7 giugno in cui Fabrizio Gifuni ha letto alcune parti dei Ragazzi di vita di Pasolini al Parenti, dove tornerà sicuro alternando, a giocoliere della parola e dei sentimenti, con Camus e con una nuova prova, Bolaño. Il “fratello” Lehman ha lasciato l’economia mondiale, Wall Street, gli shabbat e si ri-posiziona nelle borgate romane, dove era partito con Na’ specie di cadavere lunghissimo.
Ed è ancora e sempre Pasolini: ma quelli di Gifuni non sono solo dei reading, non sta impalato col microfono in mano davanti a un leggìo con la lampadina accesa, bensì si muove, accende di vita propria le pagine che legge, fa del neo realismo col linguaggio di vita dello scrittore friulano, consulente di parolacce di borgata per il Fellini delle Notti di Cabiria e debuttante scandaloso nel 1955 con questo romanzo che rivoluzionò un modo di scrivere e di essere.
Riesce nello stesso tempo a far vivere e vedere le avventure di questi ragazzi di vita (i vecchi racconti romani di Moravia…) ed anche a storicizzare l’opera (che non ha mai preso, se non sotto mentite spoglie, la strada del cinema) inserendo con la sua arte dialettica delle invisibili “virgolette”. Un romanzo attualissimo e in cui debuttano personaggi che poi si rincorrono nella carriera multimediale di Pasolini: 75 minuti sulle 9 ore e 20 che occupa l’integrale audio libro Emons letto dall’attore di Capitale umano e che in tv è stato sia De Gasperi sia Basaglia. “Un’altra straordinaria occasione, come Gadda, di ripercorrere un’avventura linguistica” dice Gifuni che è appena stato come professore ad Harvard a parlare di Gadda. Come ha vivisezionato il romanzo pasoliniano? “Un principio di piacere, le parti che mi emozionavano di più, ma anche cercando di restituire un arco narrativo pur per ellissi e in modo frammentario.
Al centro c’è il Riccetto, già presente nel monologo curato da Giuseppe Bertolucci: è un archetipo dell’immaginario pasoliniano che nasce in una sua poesia giovanile poi riscritta”. Ma quello che appassiona Gifuni in questi suoi viaggi nella memoria letteraria (mai così attuale) è il gioco a rimpiattino tra prima e terza persona, quel gioco che viene da Pirandello e non a caso piaceva tanto a Ronconi quando prendeva ispirazione dai libri (e lo fece con Gadda, pure lui, tra gli altri), sono i passaggi continui dalla vita all’opera e viceversa. Le parole dell’artista restituiscono le danze dei Narcisi di borgata, quegli accattoni capaci di morire sulla croce come si è di recente visto nella riduzione teatrale della “Ricotta”: “L’ossessione pasoliniana prende corpo nei ‘50 in questo che è il suo miglior affresco. Le pulsioni che attraversano la mia lettura oscillano continuamente tra un romanzo intatto nella sua purezza senza rughe, ma che è impossibile non leggere con gli occhi del presente, addirittura come premonizione di vita e di morte del poeta. Pasolini dissemina l’opera di riflessioni sulla morte, riesce perfino a prefigurare la stessa immagine del suo assassinio”.
E torna così il grande tema del rapporto mai scisso tra vita e morte, leggere Pasolini è essere sempre esposti a quest’oscillazione: “Per l’Attore è una festa entrare in quel mondo, quelle parole, quelle memorie. “Ragazzi di vita” è uno dei romanzi più belli del 900 e mi emoziona giocare col ruolo, affiancandolo, facendolo apparire e scomparire, nascondendomi dietro di lui o lasciare che lui si nasconda dietro di me, una danza continua tra narratore e personaggio, tra discorso diretto e indiretto: la magìa di questa dissolvenza è la cosa che mi appassiona, far balenare per frammenti qualcuno ora vero e ora scomparso, come i Lehman. Segno per fortuna che un certo legame rituale della scena può ancora restare intatto”. E non tutto è perduto.

Maurizio Porro, cultweek.com – 12 giugno 2015