L’amore probabilmente
Tra Shakespeare e Schonberg, tra la periferia disadorna di arredi urbani e le suggestioni cartolinesche del lago di Lugano, tra il popolare e l’enigmatico, Giuseppe Bertolucci costruisce una storia labirintica e complessa a tratti perfino claustrofobia in cui l’attrice Sonia Bergamasco ci fa da guida spuria e bugiarda per mostrarci il cinema che non è tale e la finzione che si va facendo realtà. Quotidiana come quella di tre ragazzi qualunque, innamorati e dilaniati da passioni infedeli, oppure astratta come quella di prove (vere o finte che siano non importa) in cui la parola si trasforma in storia e gioca a diventare cinema. Quale cinema questo è più difficile dirlo. Bertolucci figlio delle contraddizioni e delle contaminazioni della nostra post-modernità, cristallizza L’amore probabilmente in un non tempo in cui lo spettatore è sopraffatto dal ritmo tecnologico e maledettamente frenetico e bollente della ripresa a metà strada tra digitale e tradizione. Una girandola visiva ed emotiva portata alle sue massime conseguenza grazie – soprattutto – alla bravura devastante di Sonia Bergamasco che gioca con il pubblico dominando la scena anche quando finge di subirla. Tra verità e finzione, tra teatro e cinema, tra canzonette popolari e arie colte, L’amore probabilmente è un film estremamente raffinato in cui il cinema d’autore compie un passo avanti verso il ventunesimo secolo. Certo, tra i tanti meriti di Bertolucci vanno segnalati quello della sapiente scelta degli attori e quello di una regia tutt’altro che rassicurante o scontata. Come in un labirinto di parole ed emozioni, la poetica dell’autore di Non ci resta che piangere ci guida in una cavalcata dolorosa negli abissi della disperazione e nella rassicurazione psicoanalitica della recitazione. Innamorato degli attori e schiavo della tradizione teatrale europea Bertolucci tesse un’intricata tela dal ritmo triadico di cui lui per primo spiega il senso con una voce off che indica il numero tre come possibile soluzione dell’enigma cinema. Tre donne e tre uomini circondano Sonia – Sofia (parola che in greco significa sapienza), tre attrici (Melato, Sandrelli e Alida Valli evocata dal cinema in bianco e nero) segnano le tre parti di una storia fatta da inganno verità e finzione e che scorre su tre piani narrativi differenti e resi omologhi dal montaggio che diventa impasto visivo. La stessa Sonia – Sofia è parte di un terzetto in cui oltre alla tesi e all’antitesi femminea – maschile c’è il personaggio androgino di Rosalinda Celentano che potrebbe quasi essere considerata una sintesi. Tra Hegel e Jung, tra Aristotele e Lazarillo da Tormes il viaggio di Sofia diventa un’angosciosa via di fuga verso il luogo della propria partenza. Dove lo spazio, il tempo e perfino la realtà sono finti e artefatti ci si può attendere di tutto. Ecco perché L’amore probabilmente è un cinema volutamente imperfetto che tocca corde profonde e – forse – perfino inconfessabili in cui parole, azioni e canzoni si sciolgono in un’unica visione globale, ritmata, contaminata e viziata dall’occhio della macchina da presa che finge di cogliere una realtà che non esiste. Tra angoscia e gioia – i sentimenti che nella dedica finale il regista ricorda come insegnatigli dal padre cui è dedicato il film – ecco formarsi quella verità mutuata dalla parola greca Aleteia in cui l’alfa privativo indica come realtà ultima della creazione quello che non è nascosto e che appunto – secondo alcuni – si fa Logos, ovvero parola. Questo è il senso de L’amore probabilmente: le emozioni dello spettatore sono le uniche cose reali del film. Il resto – come si sarebbe espresso Friedrich Nietzsche – “è soltanto l’umanità”.
Un pubblico confuso e sorpreso di cui – finalmente – il cinema si prende gioco in maniera seria, grazie ad una pellicola imprevedibile e forte come la sua protagonista Sonia Bergamasco. Un’attrice da cui è lecito attendersi qualcosa di straordinario proprio come la sua Sonia – Sofia di questo film.
Marco Spagnoli, Rai.it – 8 agosto 2001