Gli Indifferenti

"Gli indifferenti. Parole e musiche da un Ventennio" - 2012

Press

Gifuni, sul palco per dare voce alla memoria

E questa sera al Comunale replica per “Gli indifferenti”, applaudito spettacolo con Bacelli e Prayer.

Se è vero che “Il sonno della ragione genera mostri”, la cancellazione della memoria toglie al singolo e alle comunità la capacità di conservare quelle tracce delle esperienze passate, di valutare gli errori e gli orrori e dunque si è destinati a ripeterli. Il teatro è senz’altro il luogo della memoria per antonomasia: se una storia, un fatto, un avvenimento, calcano le scene di un teatro sono destinati al ricordo eterno. Da Omero a Shakespeare, dal Ruzante a Goldoni, da Cocteau e Tenesse Williams fino ai giorni nostri il teatro è lì, puntuale e preciso a far riemergere quello che spesso vogliamo dimenticare. L’altra sera al Comunale di Ferrara è andato in scena con “Gli indifferenti. Parole e musiche da un ventennio”, (si replica anche stasera) una riappropriazione della memoria grazie alla forza e determinazione di un intenso e camaleontico Fabrizio Gifuni che ha dato voce a scrittori, giornalisti e artisti; al mezzosoprano Monica Bacelli, splendida voce scelta dai più grandi direttori d’orchestra; e dalla raffinata pianista Luisa Prayer. Attraverso l’intreccio di musica, parole e parole cantate si sono presentati i vent’anni dominati dal fascismo nel nostro Paese mettendo a nudo il rapporto tra società e cultura, tra intellettuali e potere. L’arte ha il diritto – in nome della sua indipendenza – di estraniarsi da quello che le sta attorno? O, se non girarsi dall’altra parte, di essere supina e servile del potere? Gifuni snocciola parole e parole e alla fine ti cresce il desiderio di sapere chi le ha pronunciate e chi le ha scritte e ci rimani male quando legge la lode sperticata al Duce e in fondo c’è la firma di Pietro Mascagni, l’autore di “Cavalleria rusticana”. O quando Gifuni ricorda le parole del giornalista Indro Montanelli che nel 1936, andato come volontario a combattere in Etipia, scriveva che occorreva avere coscienza della superiorità della nostra razza. Non fai neanche in tempo a pensare che magari dopo ha cambiato idea e l’attore ripete il testo di una intervista di Montanelli a Biagi del 1982, dove dice che lui si era sposato con una dodicenne abissina e che là a 12 anni le ragazza sono un’altra cosa e che era come un animale docile. In mezzo a queste parole recitate ci sono quelle messe in musica e la Bacelli con “La chiamava Capinera per i suoi ricci neri e belli, stava sempre fra i monelli per la strada tutto il dì” di Amerigo Giuliani fa da contrappunto all’attore.
Ed è proprio nei momenti in cui il ventennio opera le sue maggiori atrocità, come le leggi razziali o l’abominio dell’annientamento ebraico, alle parole tremendamente omicide di Rudolph Hoess comandante di Auschwitz, e a quelle di Paolo Monelli del Corriere della sera del 1939, sempre sugli ebrei, o a quelle del giornalista romano che scrive (1941) un articolo sul “sozzo Charlot”, che la musica della mezzosoprano diventa un insensato vocalizzo: alle atrocità la cultura risponde balbettando in musica. Non c’è stata nessuna reazione? No, qualcuno ha alzato la testa come Arturo Toscanini, costretto a lasciare l’Italia. Gifuni apre e chiude la serata con le parole di Raffaello Ramat, partigiano e docente universitario a Firenze che scrive, nell’agosto 1943, che una classe è soprattutto responsabile di quanto è accaduto: quella degli scrittori. “Odio gli indifferenti – scriveva Antonio Gramsci – vivere vuol dire essere partigiani”. Tantissimi applausi e ripetute chiamate in scena, per tutti e tre gli interpreti.

Fabio Ziosi – La Nuova Ferrara, 22 dicembre 2013