Il Capitale Umano

Human Capital - 2013

Press

Squali di provincia

Uno dei motivi (non pochissimi, ultimamente) per i quali si prova disgusto per il sistema-Italia è la pessima abitudine di commentare e attaccare i film senza averli visti. Le polemiche leghiste su Il capitale umano, il nuovo lavoro di Paolo Virzì accusato di «insultare i brianzoli», non sono solo pretestuose: sono profondamente scorrette. Il sospetto che si usi un film importante come pretesto per finire sui giornali è fortissimo, per cui non facciamo nomi e finiamola qui. Anzi, cominciamola: andate a vedere Il capitale umano perché è un film notevole, e uno dei motivi per cui lo è si nasconde proprio nel contesto che racconta: una Brianza che, per inciso, non è quella delle «fabbrichette» e della gente che lavora, ma quella degli arricchiti che giocano pesante con la finanza e fanno i loro sporchi affari a Milano, Londra o Wall Street; o quella degli «impoveriti» – nel caso specifico, un agente immobiliare strozzato dalla crisi – che sperano, frequentando gli squali di cui sopra, di azzeccare la speculazione giusta per uscire dai guai. Per cui, compagni brianzoli, state tranquillissimi: nessuno fabbrica mobili in questo film e il paesino di Ornate dove tutto si svolge manco esiste, quindi nessuno insulta nessuno. Virzì e i suoi sceneggiatori (Francesco Bruni e Francesco Piccolo) raccontano una storia che potrebbe avvenire in Piemonte, in Veneto o nell’Emilia rossa, o persino in Connecticut (dove si svolgeva il romanzo di Stephen Amidon al quale il film si ispira). Dovunque, insomma, esista un’élite di pochi ricchi onnipotenti e un ceto diffuso di ex benestanti terrorizzati dalla contingenza economica. Andando avanti e indietro nel tempo, con una struttura che potrebbe ricordare Rapina a mano armata di Kubrick, Il capitale umano parte da un incidente (un uomo in bicicletta viene investito da un Suv: il conducente non si ferma a soccorrerlo e l’uomo finisce in coma all’ospedale) e racconta la storia di due famiglie. Gli Ossola (Bentivoglio e Golino) sono un agente immobiliare e una psicologa; hanno una giovane figlia (Matilde Gioli, esordiente, bravissima) che ha una storiella con il rampollo della famiglia Bernaschi (Gifuni e Bruni-Tedeschi), proprietari del villone più lussuoso del paese. Accompagnando da loro la figlia, Dino Ossola fa il colpaccio: viene invitato a giocare a tennis da Giovanni Bernaschi (manca il quarto per un doppio%%) e diventa «quasi» suo amico; in particolare, riesce ad entrare – come socio di super-super-minoranza – in una gigantesca speculazione. Per acquisire alcune quote del fondo-Bernaschi, Ossola deve chiedere un prestito alla banca: se le cose dovessero andar male, sarà sul lastrico. Secondo voi come andranno? È incredibilmente denso e verosimile il contesto sociale che Virzì, Piccolo e Bruni riescono a ricostruire: Il capitale umano è veramente il ritratto dell’Italia di oggi, colta anche nella sua stratificazione sociale (si va dai ricchissimi ai proletari, o a ciò che rimane di loro). Ma è anche azzeccatissimo il lavoro sui personaggi: tutti hanno dei doppi fondi, come la ricca signora Bernaschi che è un’ex attrice e si eccita quando il locale professore di teatro (Lo Cascio) le porta in dono un dvd di Nostra signora dei turchi di Carmelo Bene; o come la psicologa che annuncia, nel momento così sbagliato che più sbagliato non si può, di essere incinta. Il talento degli sceneggiatori si misura anche sui personaggi minori: su tutti, il poliziotto che indaga sull’incidente, magnificamente interpretato da Bebo Storti. Ma tutto il cast è encomiabile, anche se la nostra personalissima palma va, da milanesi, al non milanese Gifuni che ha fatto uno straordinario lavoro sull’accento per calarsi nei panni di un pirata della finanza interessato solo ai «danée». È il primo film drammatico di Virzì (anche se qualche risata, qua e là, ci scappa) e, insieme a Tutta la vita davanti e a La prima cosa bella, è il suo migliore..

Alberto Crespi, L’Unità – 9 gennaio 2014