Gli Indifferenti

"Gli indifferenti. Parole e musiche da un Ventennio" - 2012

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Gli indifferenti, per non dimenticare gli orrori del Fascismo

L’ Accademia Filarmonica Romana ha partecipato alla celebrazione della Giornata della Memoria con uno spettacolo che si è rivelato molto ben curato e di grande effetto sul pubblico.

Il titolo è Gli indifferenti. Parole e Musica di un Ventennio. Costruito grazie alla collaborazione tra l’attore Fabrizio Gifuni, la cantante Monica Bacelli e la pianista Luisa Prayer, tre artisti molto apprezzati oggi dalla critica e dal pubblico che seguono ogni loro specifico campo di azione.

E’ uno spettacolo strutturato come una riflessione su quel periodo tragico della nostra storia che va sotto il nome di fascismo, ideologia dalla quale l’Italia non è completamente affrancata nonostante le oggettive tragedie che essa ha scatenato sia nel nostro paese sia nel resto del mondo.

I tre artisti hanno effettuato un eccellente lavoro di ricerca sul quel periodo selezionando scritti, articoli di giornale, interviste, telegrammi, diari privati, documenti storici, musiche e canzoni, creando uno straordinario affresco sull’Italia di quel periodo citando personaggi come Piero Gobetti , Arturo Toscanini, Indro Montanelli, Pietro Mascagni, Alfredo Casella, Mario Castelnuovo Tedesco.

La struttura dello spettacolo prevede un serie di cinque capitoli ognuno dei quali dedicati ad una delle tappe della nefasta ‘escalation’ che condusse l’Italia ad uno dei punti più bassi della sua storia. Gli anni del manganello (l’affermazione del fascismo con la violenza), Arte e Regime (tutti i condizionamenti che ebbe il mondo artistico, in special modo quello della musica), Questioni di Razza (Le leggi razziali, l’ignomina forse più grande che un governo possa compiere), Gli anni dell’Impero (gli interventi devastanti per dominare gli inermi popoli dell’Africa), e l’Abbominio (l’ultimo atto della tragedia simboleggiata da Auschwitz ma che si è consumata in tanti altri posti come questo).

Queste tematiche avevano un prologo ed un epilogo che sintetizzavano con straordinaria chiarezza tutto il senso dello spettacolo che aveva una parte letteraria abbinata ad una parte squisitamente musicale, vocale e strumentale, tutti elementi che si fondevano tra loro in maniera del tutto soddisfacente. Sono state utlizzate musiche di Tosti, Casella, Mascagni, Respighi, Pizzetti, Castenuovo Tedesco, tutte molto emblematiche per rappresentare quel periodo storico.

Di grande rilievo la parte dedicata al rapporto tra Arte e Regime, con scritti di Casella ma anche dichiarazioni di Mascagni e Pizzetti accondiscendenti verso il regime ed il suo condottiero, parole che scuotono l’animo di chi ama una splendida arte come la Musica. Ad esse era contrapposto il pensiero del nostro grande Arturo Toscanini, antifascista fino al midollo, che seppe essere critico e distaccato verso il regime a costo di abbandonare l’Italia dopo i cosiddetti schiaffi di Bologna del 1931 che lo costrinsero a tornare in patria nel 1946, dopo la caduta del fascismo per riaprire, con un memorabile concerto, il Teatro alla Scala, riportato a nuovo dopo la distruzione dei bombardamenti.

La cosa che più ci ha colpito dello spettacolo è stato il prologo e l’epilogo affidato alle parole di Raffaello Ramat, critico letterario, professore di lettere all’Università di Firenze e partigiano; il 10 agosto 1943 scrisse dei pensieri che, per la loro perspicacia, potrebbero essere scritti ancora oggi.

Disse che la società dell’epoca era “un blocco di milioni e milioni di uomini i quali acconsentirono di obbedire ad un branco di ladri e di avventurieri sapendo che essi erano avventurieri e ladri, e non riuscivano a sperarne la liberazione se non da forze esterne a loro. E dimostravano la loro dissidenza o col pauroso parlottare segreto e vano o peggio con la barzelletta. Povera arma e segno interiore di debolezza”.

L’epilogo contiene parole altamente drammatiche“il fascismo non è morto ancora. Esso non è nato in Italia nel 1919 ma ha radici lunghe e difficili da troncarsi in un giorno. Esse si stendono tenaci e talvolta invisibili nel nostro carattere, si avvolgono al dannunzianesimo, al demagogismo, al governo pontificio, austriaco, borbonico, al gesuitismo, alla controriforma.. si sono rafforzate in secoli di servilismo e d’abitudine alla menzogna, di ignoranza, di disonestà divenuta sistema, di retorica e di scetticismo, di egoismo e di insipienza governativa, di classismo gretto e di assenteismo stupidamente aristocratico degli intellettuali, di accademismo e di pigrizia. Il fascismo è stato l’erede di questo ammasso di tare e ha dominato per vent’anni perché gli italiani nel complesso avevano già dentro di loro la disposizione a quel regime. Bisogna epurarsi, ma radicalmente, interiormente, perché il nemico della libertà è ancora dentro di noi.”

Sono parole forti, impressionanti, ci fanno pensare alla situazione dell’Italia di oggi ma che ci debbono far riflettere, assieme anche al significato di tutta la Giornata della Memoria. Basti pensare a Vattani il console ‘fascio-rock’ che si permette di esaltare il fascismo pur rappresentando l’Italia e la sua Costituzione che, nata dalla Resistenza, fa proprio dell’antifascismo il suo pilastro fondamentale.

Un prologo ed un epilogo ai quali ha fatto da contrasto il Lied ‘Ruhe, meine Seele!’ (Riposa anima mia) scritto da Richard Strauss nel 1894 su testo di Karl Henckell, che lo stesso Strauss riprese nel 1948 con una versione per canto ed orchestra. E’ una sorta di incoraggiamento all’oblio, l’esatto opposto del significato intrinseco della Giornata della Memoria che esorta gli uomini a non dimenticare.

Lo spettacolo nel suo complesso è risultato molto ben calibrato al quale gli autori, poteva prevedere ma, al contrario, sono riusciti a renderlo coinvolgente ed avvincente, riuscendo a toccare le corde emotive del pubblico conducendolo per mano nel significato di tutti gli avvenimenti ricordati.

Tutto ciò è stato ottenuto grazie alla bravura dei tre artisti con Fabrizio Gifuni che ha confermato la sua coinvolgente recitazione, una qualità che già avevamo apprezzato ne L’ingegner Gadda va alla guerra. Poi Monica Bacelli, cantante molto raffinata, dalle emissioni dolci e delicate, sempre espressiva, che ha saputo dare alla sua interpretazione la necessaria dimensione cameristica. Una parte musicale alla quale la pianista Luisa Prayer ha saputo mettere a disposizione tutta la sua classe di strumentista per un’esecuzione risultata affascinante, poetica ma altamente drammatica.

Lo spettacolo che ha avuto come sfondo la Sala Casella situata nella storica sede dell’Accademia Filarmonica Romana, è stato applaudito a lungo dal pubblico convenuto numeroso, molto evidentemente emozionato dai fatti raccontatati, ottimo strumento per tenere viva la Memoria di quei tragici anni con la speranza che ciò che accadde non si verifichi più.

Claudio Listanti – La Voce, 1 febbraio 2012