Il partigiano Johnny - 1999

Il partigiano Johnny - 2000

Regia di Guido Chiesa

Con: Stefano Dionisi, Claudio Amendola, Andrea Prodan, Fabrizio Gifuni, Alberto Gimignani, Chiara Muti, Giuseppe Cederna, Umberto Orsini, Felice Andreasi

Sceneggiatura: Guido Chiesa, Antonio Leotti
Tratto dall’omonimo romanzo di Beppe Fenoglio
Fotografia: Gherardo Gossi
Montaggio: Luca Gasparini
Scenografia: Davide Bassan
Costumi: Marina Roberti
Colonna sonora: Alexander Balanescu

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A lezione da Fenoglio

Mai dire mai. Diffidavo di due giovani registi che nelle prime prove mi erano sembrati troppo ideologici e scolastici nelle loro scelte, invece i due migliori film italiani, i più sinceri della stagione, sono i loro: Placido Rizzotto del siciliano Pasquale Scimeca e Il partigiano Johnny del piemontese Guido Chiesa. Entrambi film storici tesi a evocare e spiegare momenti cruciali della “nuova Italia”, le cui speranze poco sono durate, come le spinte etiche e politiche. Scimeca ha fatto ricerca storica in prima persona e per la prima volta la mafia è raccontata da un siciliano in modi siciliani, con i paesaggi, le facce, le spiegazioni giuste (e anche le prime scene di Scimeca sono “resistenziali”, e durissime, sinteticamente espressive e più che documentarie).
Confrontarsi con il capolavoro di Beppe Fenoglio sembrava opera impossibile, però Chiesa ha vinto la scommessa grazie al suo atteggiamento di modestia, alla volontà di non sovrapporsi all’autore e di illustralo, di trasporlo in immagini in spirito di servizio. Assai pregevole nella ricostruzione di un’epoca (è certo il miglior film che conosciamo sulla Resistenza assieme, va da sé, all’ultimo episodio di Paisà, e assieme a Il terrorista di Gianfranco di Bosio), può ricordare quei grezzi e bellissimi materiali di ricostruzione che un prete piemontese ex partigiano e cinofilo, don Pollaiolo, “mise in scena” nei giorni successivi alla Liberazione: non la verità e il documento, ma un senso fortissimo di somiglianza, e una sorta di essenza, come è più volte accaduto per celebri materiali considerati documentali. Chiesa si muove, camera a mano, assai bene nella azioni e nelle battaglie, mentre gli intervalli narrativi appaiono di più tradizionale regia, benché di solida misura; e il grande romanzo dà una nervatura, una struttura al racconto la cui leva è, appunto, etica: la storia di una scelta, che è valida momento per momento nella vita di una persona ma ancora di più quando la storia impone le scelte più gravi. Fenoglio, e Chiesa che gli fa da tramite, ha ancora molto da insegnarci, non solo sullo ieri.

Goffredo Fofi, Panorama – 30 novembre 2000