La meglio gioventù - 2002

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Come salvarsi dalla volgarità

Iniziata con un’attesa di futuro, la storia di Nicola (Luigi Lo Cascio), Matteo (Alessio Boni), Francesca (Valentina Carnelutti), Giovanna (Lidia Vitale), della loro madre Adriana (Adriana Asti, perfetta) e dei molti altri si chiude sulla speranza di bellezza. In mezzo, tra i vent’anni dei fratelli Carati e i vent’anni di Andrea (Riccardo Scamarcio), figlio di Matteo, ci sono la storia del nostro Paese e la sua cronaca, le sue emozioni, la sua forza e le sue paure, le sue ignobiltà e le sue generosità.
Nella prima parte del film di Marco Tullio Giordana (vedi “Il Sole 24 Ore” di domenica scorsa) ci sono, per quanto solo accennati, il coraggio e l’intelligenza di chi ricostruì l’Italia dopo i disastri del fascismo e della guerra. C’è la ribellione dei loro figli e figlie. C’è la generosità di chi, come Nicola, negli anni ’70 provò a realizzare il sogno di liberare il mondo dalla chiusura morale e dall’ingiustizia, insieme con la presunzione criminale e stupida di chi invece, come Giulia (Sonia Bergamasco), s’immaginò padrone della vita e della morte, sostituendo quel sogno con un incubo.
Poi, nella seconda parte di La meglio gioventù (Italia 2003, 366′ complessivi), ci sono la trasformazione economica e sociale degli anni ’80, il dilagare della corruzione, l’attacco della mafia allo Stato e alla magistratura. E c’è, soprattutto, un senso di disorientamento e di vuoto, come se, perduta quella dei padri e delle madri, l’Italia dei figli, la nostra Italia, rischiasse di sprofondare nella volgarità, di tradire la sua vocazione storica alla bellezza, appunto.
Tutto questo, d’altra parte, è tenuto sullo sfondo dalla sceneggiatura intelligente e raffinata di Sandro Petraglia e Stefano Rulli. Qualche volta la storia e la cronaca politica sono alluse, magari solo accennate dalle parole lontane di un telegiornale, come nel caso del processo Moro o in quello del primo emergere d’un movimento fondato sulla paura e sull’odio. Qualche volta, al contrario, entrano nelle vicende personali con invadenza tragica, come nel caso dell’assassinio e dei funerali di Giovanni Falcone. Mai, tuttavia, si sovrappongono alle storie dei singoli e ai loro sentimenti. E’ questo che fa di La meglio gioventù non tanto lo specchio di una generazione quanto un “frammento” della sua memoria, un frammento sempre verosimile e spesso anche tenero.
Certo tenero è lo sguardo del cinema su Matteo, sulla sua esposizione indifesa alla vita, sul sio desiderio radicale e irrealizzabile di purezza e trasparenza. E’ inadatto alla vita, Matteo. E’ incapace di accettarne le “imperfezioni”, che ne sono poi il gusto più forte. In fondo, Matteo è l’immagine speculare di Giulia: tutti e due rigidi, tutti e due decisi a distruggere la vita così com’è in nome d’una sua immagine ideale e astratta. La differenza, terribile e tragica, è che lui distrugge solo la propria, mentre lei cerca una via d’uscita nella distruzione delle vite degli altri.
Ben diversa è la disponibilità di Nicola a imparare dall’esperienza, ad accettarne la casualità. Anche Nicola vive una tensione morale, e forse un’utopia. Ma le vive ben dentro le cose, i rapporti, gli affetti. Per questo è sempre pronto a mettersi in gioco, a rischiar se stesso, a spendersi nella serietà di un progetto, che si tratti della sua professione di psichiatra o che si tratti della responsabilità e delle tenerezza (ancora) dovute al futuro della figlia.
Per tutti, d’altra parte, vale la trasparenza morale, l’abitudine appunto morale di non fuggir via da se stessi. Anche Giulia, persino Giulia ha questa trasparenza. Non rifiuta la propria responsabilità, non si concede attenuanti. E lo fa con una durezza che è la stessa con cui sarebbe pronta a uccidere.
Insomma, è un’Italia “bella”, nelle sue luci e nelle sue ombre, e addirittura nel suo buoi, quella inventata e raccontata dal cinema/memoria di Giordana, Petraglia e Rulli. E’ un’Italia che forse non esiste, ma che alcuni, pochi o molti, amano sognare e sperare. Ed è comunque la stessa che, da banchiere, sogna e spera carlo (Fabrizio Gifuni): immediata e diretta, responsabile e seria. E’ un’Italia, ancora, che ha il coraggio di mantenere fede a se stessa: allo splendore della sua terra, ai colori del suo mare, alla grandezza della sua arte.
E qui, mentre si chiude La meglio gioventù, torna alla mente I cento passi dello stesso Giordana. “La bellezza, questo di dovrebbe insegnare alla gente”, così dice peppino Impastato in quel bel film del 2000: “La bellezza contro la cupidigia, la bellezza contro l’omertà, la bellezza contro la rassegnazione, la bellezza contro la paura…”. Alla fine: la bellezza contro la volgarità, e per amore del nostro futuro.

Roberto Escobar, Il Sole 24 Ore – 6 luglio 2003