L'inverno - 2001

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Belli, puliti e cattivi

E’ singolare e importante che escano nelle sale, in queste settimane, quattro film italiani decisamente controcorrente rispetto alla logica dominante, che prevede solo pellicole che consolano, che nascondono, che mentono, che divertono e che insomma compiacciono il gusto di un pubblico che non vuole pensare o, al più, vuole pensare secondo l’interesse e il padrone.
Sono opera di un “vecchio” Marco Bellocchio (L’ora di religione, il suo miglior film da anni e anni, che andrà a Cannes); di un giovane, Marco Bechis (Figli/Hijos); e di due giovanissimi, Giovanni Maderna (L’amore imperfetto) e Nina Di Majo (L’inverno, che va a Berlino). Non metto nel conto il film di Silvio Soldini (Brucio nel vento) di indecisione formale e forse anche morale non insolita.
Unisce i quattro la ricerca di un grande rigore di stile e una grande durezza di sguardo.
Nell’Italia caciarona e imprecisa in tutto, mi pare una rara cosa. Con L’inverno, Nina Di Majo non parla della Napoli borghese da cui proviene, ma di intellettuali-artisti che vivono a Roma le loro frustrazioni e nevrosi, la loro modesta cattiveria causata da una solitudine che è anche d’epoca e che finisce per essere dolorosamente (e inutilmente) autodistruttiva.
L’inverno può far pensare all’Antonioni de L’eclisse, a certi registi di Formosa. Il gioco di massacro tra pochi personaggi “a porte chiuse” è servito da un’ottima interpretazione (Bruni Tedeschi, Golino, Gifuni), da un’ottima fotografia (Cesare Accetta), e se qualche carenza la presenta è nella sceneggiatura, ma è positivo che Di Majo, come Maderna, faccia da sé, anche rischiando, perché gli sceneggiatori italiani sono l’appendice più diretta dei produttori, sono i mediatori ossessionati dalla comunicazione.
Con i suoi personaggi la regista ha qualche complicità, poche, perché ne conosce la condizione, le normali viltà, i claustrofobici dolori. Personaggi che nello stesso tempo, come tanti di noi, sono condannati all’immaturità, e sono anagraficamente, irresponsabilmente adulti.

Goffredo Fofi, Panorama – 14 febbraio 2002