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Orazio Costa

Orazio Costa, Amleto e il metodo mimico

Nel biennio 1992-93, Orazio Costa tenne in Accademia circa centosessanta lezioni, interamente dedicate all’Amleto di Shakespeare. Questo straordinario momento di studio faceva seguito a un altro ciclo di lezioni sul cosiddetto ‘metodo mimico’ tenuto da Pino Manzari e da Costa stesso l’anno precedente. Conservo gelosamente gli appunti di quelle giornate. Il testo su cui si lavorava era quello integrale, dal primo all’ultimo verso. Sette o otto traduzioni a confronto, più quella di Costa, da leggersi – come alcuni romanzi di Gadda – vocabolario alla mano. Tutti i ruoli erano a disposizione di tutti. Donne e uomini potevano cimentarsi indifferentemente su Amleto o Gertrude, Ofelia o Osric, Claudio o Polonio. Mi è capitato diverse volte durante gli ultimi quindici anni – sia che stessi lavorando a uno spettacolo sia che mi stessi preparando a un film – di sfogliare a caso quegli appunti, quasi scaramanticamente, per ricercarvi risposte a improvvisi quesiti, come nell’antico libro cinese dei Mutamenti, l’I Ching. “E’ l’aldilà che introduce il teatro, sono i fantasmi che guidano la nostra storia. L’uomo è sempre in colloquio con questi personaggi ideali, la cui presenza è sicura.. Il sipario in Amleto potrebbe aprirsi quando appare il Fantasma. Tutto sommato fino al suo apparire, in scena si realizza – sia pure con i dovuti incidenti – una ‘commediola militare’.” “La capacità di ripetere identico un suono o un rumore è un fatto di prodigiosa importanza. Ogni attore dovrebbe sapere esattamente quali siano le proprie condizioni audiometriche. Le attuali condizioni del nostro orecchio devono essere tenute sotto controllo e accuratamente esercitate. E il Coro è senz’altro uno dei modi più efficaci per farlo.” “S.Paolo diceva : ‘Che guerra in me, in cui vivono due uomini diversi’. Io dico, beato lui che ne aveva soltanto due..” “Non basta trovare la propria voce, è necessario volta per volta trovare la voce di un personaggio..” “Siete in una posizione privilegiata. Il teatro è una delle poche strade rimaste all’uomo per salvarsi. Gli attori sono punte ai margini dell’esistenza. Gli altri sono già morti e non sentono, per fortuna loro, la puzza che fanno..” “Non troverete molte persone che vi correggeranno ‘onestamente’ : siete soli e dovete sentire tutta la responsabilità di essere parte di questo tessuto esistente che è la lingua italiana.” “ ‘Colpi di scena’ e ‘nodi drammatici’ fanno si che un fenomeno possa essere compreso nella sua interezza : non c’è bisogno di conoscere tutte le gocce che compongono un temporale per ‘essere’ quel temporale. I caratteri distintivi di un fenomeno (una foglia può essere lanceolata, oblunga, a forma di cuore, a trifoglio, etc.), non devono allontanarci dal considerare che, per fortuna, i fenomeni in natura sono omogenei e si possono descrivere con alcuni ‘colpi di scena’ contestuali. Un albero si può descrivere con tre ‘colpi di scena’.” “In questo momento noi facciamo questo tipo di lavoro sul personaggio Amleto, ma il vantaggio che ne avrà chiunque un domani si trovi ad affrontare altri personaggi sarà quello di aver guadagnato ‘un fondo di Amleto’..” “Il timbro (o colore o metallo) è l’aspetto più personale di una voce, ed è una variabile che l’attore cura troppo poco. Nella vita di tutti i giorni diamo luogo continuamente ad un processo di mimesi spontaneo – anche dal punto di vista timbrico – rispetto alle persone con cui parliamo : a seconda della loro età, del sesso.. Cercate di ricordarvelo.” “C’è una splendida frase di Cicerone che dice : non esiste per l’uomo miglior teatro di quello che gli offre la propria coscienza.” ( Etc.etc..) Scorrendo quei taccuini, che hanno resistito a diversi traslochi, ogni volta mi domando quanti altri uomini, in Italia, abbiano dedicato con la stessa intensità tutta la loro vita al lavoro dell’attore. So con certezza che uno dei pensieri che hanno ossessionato Costa fino all’ultimo istante è stato come si potesse rappresentare il fantasma del padre di Amleto, in scena, senza scadere nel ridicolo. Chi ha avuto l’immensa fortuna di partecipare a quelle lezioni d’Arte sa che ha passato sicuramente molte più ore ad ascoltare la sua voce inconfondibile o a recitare in Coro tutto l’Amleto, di quante non ne abbia passate a provare una scena o un monologo, in questo o quel ruolo. Senza accorgersi, allora, che quella condizione di incomprensibile attesa a cui Costa spesso ci sottoponeva per ore e ore, era il modo migliore per infiammare la nostra fornace. E che quel morso tenuto sulla bocca del cavallo fino a farlo schiumare, era il modo migliore per prepararlo alla corsa. A una corsa lunga e insidiosa, in cui è facile perdersi o cadere sfiniti. Ci allenava, il maestro. Ci educava all’Ascolto, condizione primaria di qualsiasi prassi attoriale, teatrale o cinematografica. E ci insegnava al contempo, attraverso l’antica esperienza del Coro, che non si è mai ‘solisti’, anche quando si è soli in scena o si monologa. Precondizione di qualsiasi lavoro sul testo o sul personaggio, il risveglio dell’infanzia e del suo infallibile istinto mimico. Riavvicinarsi sempre di più a quell’innata capacità di diventare ‘qualsiasi cosa’ che hanno i bambini nei primissimi anni di vita. Un viaggio a ritroso alla ricerca di un’età dell’oro – il primo stadio dell’esistenza – in cui famiglia, scuola e convenzioni sociali, non avevano ancora avuto il tempo di chiudere la propria morsa infernale sui nostri corpi, interrompendo quel fiume di energia spudorata e benedetta. Che è mimica allo stato puro. ‘Scatenarsi’ di nuovo nel gioco, recuperarne le regole, smarrire il tempo e abbandonarsi. Costa si preoccupava del ‘nucleo originario’ dell’attività espressiva, del ri-avviamento all’Espressione. Stava all’attore scegliere successivamente la propria strada, che fosse la Fonè di Carmelo, la comicità di Panelli o il realismo mimetico di Volontè. In questo sta la grandezza della sua intuizione e l’unicità del suo insegnamento : il metodo mimico si antepone a qualsiasi altra tecnica, dandogli linfa e anima. Non può contrapporsi a nessun altra pedagogia perché, inevitabilmente, la precede.



Fabrizio Gifuni