Categorie
cinema

il capitale umano-Mereghetti

Il Capitale Umano

Il capitale umano - 2013

Stampa

Virzì: noir nella ricca Lombardia. Basta con le commedie fragili

Che cosa spinge un autore che ha sempre rivendicato con orgoglio la propria italianità, se non addirittura la propria «livornesità», ad adattare uno scrittore americano? Ad affidarsi a un romanzo che sembra il frutto diretto dell’11 settembre, che di quella crisi esplora le conseguenze e le influenze sulla borghesia del Connecticut? Paolo Virzì non ha un momento di esitazione: «Perché è un paradigma dei nostri tempi presenti e ormai Italia e Stati Uniti si assomigliano sempre di più».

Il romanzo in questione è Il capitale umano di Stephen Amidon, destinato a diventare, con lo stesso titolo e il marchio Indiana Production, l’undicesimo lungometraggio del regista toscano (da anni però trapiantato a Roma). L’ha riambientato in Italia, nella «ricca Lombardia» e dopo aver girato sette settimane tra neve, pioggia e nebbie sfrutta il sole per le ultime due settimane di riprese. «Mi è piaciuta l’idea di una storia da raccontare attraverso diversi punti di vista, una specie di puzzle narrativo capace di dirci quello che siamo diventati quando abbiamo creduto che la ricchezza si potesse moltiplicare senza fatiche e invece ci siamo ritrovati in un baratro».
A interpretarlo ha chiamato Fabrizio Bentivoglio, Valeria Bruni Tedeschi, Fabrizio Gifuni, Valeria Golino, Luigi Lo Cascio, Bebo Storti, Gigio Alberti e tre giovanissimi, esordienti o quasi: Matilde Gioli, Guglielmo Pinelli e Giovanni Anzaldo. Perché Il capitale umano parla di adulti ma soprattutto di giovani: c’è un ciclista buttato fuori strada da un Suv e l’inchiesta per scoprire il responsabile; c’è un immobiliarista che si sforza di entrare nelle grazie di un ricco finanziere e poi una moglie incinta e un’altra infelice, c’è un teatro da riaprire, ma ci sono soprattutto tre adolescenti che cercano di affrontare la vita con le loro forze, a volte fragili a volte più salde di quel che appaia.

«Nel romanzo, e nel film, si intrecciano il noir e il thrilling, c’è l’ironia beffarda verso una piccola borghesia che vuole fare il passo più lungo della gamba ma soprattutto c’è un viaggio dentro il conflitto tra genitori e figli. Anzi, proprio tra padri e figli». E lo dice con tutto l’affetto e la preoccupazione di chi è appena diventato padre per la terza volta: «Ho appena avuto una bambina, dopo che con Micaela (Ramazzotti, ndr) avevamo già un maschietto. Che si aggiungono alla figlia del mio primo matrimonio, che studia a Berlino e non ha intenzione di tornare in Italia. Posso darle torto? Se mi guardo in giro non vedo un bel panorama: genitori infantili e narcisi, che schiacciano i figli sotto le loro ambizioni e li legano per tutta la vita ai loro destini. Sembra quello che fa il Pd con i suoi».

Non siamo messi molto bene.
«No, la vedo proprio male. Per la politica, di cui mi spaventano i faciloni che seguono chi grida di più e semplificano tutto in uno slogan o una battuta. Per la società, dove gli adulti non aiutano i giovani a maturare. E per il cinema, dove sembra che manchi l’aria. Sto pensando seriamente di girare il mio prossimo film in inglese».

Verrebbe quasi da cambiare mestiere. Eppure nei suoi film non è così pessimista. Anzi, le buone letture danno l’impressione di poter salvare la vita, se non il mondo…
«I piccoli eroi dei miei film leggono molto come me: in Ovosodo Pietro raccontava Dickens agli operai, in Tutta la vita davanti Marta usava la filosofia per sopravvivere così come faceva Guido con gli studi classici in Tutti i santi giorni. E nel Capitale umano la speranza arriva dai tre giovani studenti. Ma oggi chi difende la cultura umanistica è preso per retrogrado. I nuovi tecnocrati la trattano come se elargissero carità. E invece sarebbe un sistema da mettere a reddito. Altro che ministero della Cultura, quello dello Sviluppo economico ci vorrebbe per cambiare davvero qualcosa».

Ma se questa è la situazione, serve ancora fare film? E soprattutto, che film si dovrebbero fare?
«Sicuramente non c’è niente di più mortifero del rifare sempre le stesse cose, le stesse commedie stiracchiate. Basta! Sono convinto che il cinema serva ancora. Non è mai un lusso perché ti nutre l’immaginazione. Non spetta certo a me dettare la linea editoriale del cinema italiano, anche perché potrei solo ripetere che serve un cinema capace di raccontare il nostro Paese, soprattutto in questo brutto momento. Serve un cinema che sappia rischiare, che non si faccia condizionare e ritrovi la libertà che l’aveva fatto grande in altre stagioni. Più coraggio, registi!».

Le sue commedie spesso parlavano di politica dietro le risate.
«E non voglio abbandonarle. Mi piacerebbe anche tornare a Ventotene e vedere come sono cambiati i Mazzalupo e i Molino, le famiglie di “destra” e di “sinistra” di Ferie d’agosto. Ma forse sarebbero tutti irriconoscibili. Sarebbe anche bello vedere com’è finito il protagonista di Ovosodo quindici anni dopo. Ma la fabbrica dove andava a lavorare oggi non esiste più, rasa al suolo. E allora che cosa racconto? Il deserto e le macerie?».

Paolo Mereghetti, Corriere della Sera – 14 giugno 2013

Categorie
cinema

Il capitale umano-De Gregorio

Il Capitale Umano

Il capitale umano - 2013

Stampa

Le vite meschine degli speculatori quelli che vincono sui disastri italiani
Virzì cambia passo con un thriller corale sul nostro Paese

Paolo Virzì ha cambiato passo. Come se fino a ieri avesse guidato una macchina di cui non conosceva il pulsante segreto, quello del decollo. Ora che si può’ anche volare è pronto per il giro del mondo. Si è trasformato in un viaggiatore esperto di sentieri, un entomologo che raccoglie dettagli e li cataloga. E’ andato in Brianza a raccontare com’è cambiata l’Italia, lo ha fatto come se partisse per l’Alaska: vergine la curiosità, controllata l’apprensione, sottolineate cento volte le guide. Ha messo in valigia i suoi attrezzi da sarto di storie (il filo dell’ironia, questa volta meno dolce del solito, beffarda e un po’ crudele persino, le stoffe pesanti per il freddo che c’è dentro casa e anche fuori, su al Nord, le sete per le sere di festa, le lamette per la disperazione, l’alcol per non pensarci, uno zainetto e una tuta per scappare, caso mai) e come un esploratore si è addentrato di soppiatto nella terra dei ricchi. Di quelli che “hanno scommesso sulla rovina del nostro paese, e hanno vinto”. Gli speculatori, i maghi della finanza, quelli che ti promettono di guadagnare il 40 per cento sui tuoi risparmi e che poi se li mangiano, con la tua vita intera. Quelli che calcolano con un algoritmo quanto costa la tua morte, il “capitale umano” del titolo: il risarcimento agli eredi per l’assenza.
Il film è bellissimo, il suo migliore. Potente, lieve, preciso. E’ un congegno che funziona come l’ingranaggio di un orologio, ogni ruota gira in un verso diverso e tutte insieme battono il tocco delle ore. Non è una commedia ma è anche quello, non è un thriller ma un po’ sì, non è un racconto a tesi ma un caleidoscopio di sguardi che tiene insieme i punti di vista senza dare lezioni. Senza quel tono di sufficienza e di distacco che confina col disprezzo e balla il mano fatalista del qualunquismo. Dirige un gruppo di attori eccezionali rendendo ciascuno di loro, se ancora possibile, una sorpresa.
Giovanni Bernaschi è un finanziere di quelli che fra mezz’ora hanno un volo per Londra, vive in una villa con due rampe di scale all’ingresso i campi da tennis e una piscina riscaldata nel sotterraneo, ha una moglie bellissima ex attrice, un figlio adolescente che va alla scuola privata e tiene il suv in garage. Fabrizio Gifuni lo incarna con torva esattezza di sguardi, padronale volgarità di gesti tuttavia sempre eleganti, mai caricaturale, millimetrico nel passo brutale e segretamente consapevole della disperazione di chi, ormai, non può’ tornare indietro. E’ Gifuni-Bernaschi, il motore mobile, la causa e la ragione di ogni cosa. Della rovina dell’Italia, appunto, su cui il suo fondo ha puntato. Fabrizio Bentivoglio è Dino Ossola, un immobiliarista sull’orlo della rovina la cui figlia è fidanzata con il figlio di Bernaschi. Ha perciò accesso alla villa, alla vita dei ricchi, ai loro doppi di tennis. Decide di investire 700 mila euro che non ha, facendoseli prestare, nel fondo miracoloso. Qui Bentivoglio abbandona il consueto charme distratto e inventa una figura patetica e tragicamente ordinaria, l’uomo in bilico sulla disfatta: è suo il primo dei tre sguardi sulla scena. La storia avviene alla vigilia di Natale in un piccolo paese della Brianza. C’è una cena di gala, c’è un incidente – il cameriere della cena che torna a casa in bici, investito da un Suv – c’è un colpevole ignoto.
Si legge il racconto con gli occhi di Ossola, dunque al principio. E con quelli della sua compagna Roberta, psicologa in un consultorio pubblico, incinta: Valeria Golino impeccabile nel sottinteso e nel sorriso, dolce e saggia, struggente interprete di una normalità smarrita. Poi daccapo, la scena rivive dagli occhi di Carla, la moglie di Bernaschi. Una Valeria Bruni Tedeschi fragile e una volta ribelle, sensuale e goffa insieme, fonte di grande ilarità (“C’è la polizia? Cos’è la polizia”), bravissima. Ex attrice dilettante, Carla vuole salvare dalla rovina il Politeama locale. Va in scena la contesa fra cultura e denaro, è il racconto postumo della disfatta. “Capisci – dice al marito – non c’è un teatro in tutta la provincia”. “E’ grave, amore?”, le risponde lui distratto, a letto. Il direttore artistico designato, un professorino di storia del teatro, è Luigi Lo Cascio. Strepitosa Caporetto delle loro velleità è la scena di sesso tra i due nella sala cinema della villa, davanti a un vecchio film di Carmelo Bene.
Il terzo sguardo è quello di Serena, la figlia di Ossola. Matilde Gioli, nuotatrice nella vita qui al debutto, è la rivelazione del film. Non ama più Massimiliano Bernaschi (Guglielmo Pinelli, anche lui alla prima bella prova di attore) ma lo accudisce come una madre. E’ invece innamorata di Luca (Giovanni Anzaldo, febbrile, poetico), un paziente della sua matrigna psicologa, condannato per spaccio. Lo zio di Luca, Piero Pierobon, racconta in due scene dure come schiaffi la storia di tutti quelli che aspettano tra una canna e un acido di partire per Formentera, appena ho i soldi rilevo un chiringuito sulla plaja di Mitjorn. Bebo Storti è il commissario di polizia che indaga: si indovina di lui una vita grama, una grande anima.
Affresco polifonico e corale, riscrittura del romanzo di Stephen Amidon affidata a Francesco Piccolo e Francesco Bruni, insieme allo stesso Virzì. L’America è qui, in Brianza. Le donne conoscono la vita meglio degli uomini, la maneggiano più disinvolte; i giovani – vere vittime di questo tempo cieco – soccombono alle aspettative dei padri, infragiliti dal lusso o dall’assenza di speranza; i più poveri di mezzi sanno essere più generosi di sè e lungimiranti, sempre. In assenza assoluta di retorica, sono semplici annotazioni sul taccuino di chi osserva. Tocco di maestria le musiche di Carlo Virzì, percussioni etniche che danno al thriller il sapore di un viaggio altrove: tamburi per l’esplorazione, appunto, di una terra remota pericolosa e onnivora, la terra che ci sta mangiando. Si resta a lungo, nei giorni successivi, in compagnia dei volti e delle parole di Gifuni e Bruni Tedeschi, i più sorprendenti di un cast superbo. Lei:”Avete scommesso sulla rovina del nostro paese e avete vinto”: Lui: “Abbiamo vinto, amore. Abbiamo. Ci sei anche tu”.

Concita De Gregorio, La Repubblica – 7 gennaio 2014

Categorie
cinema

Il capitale umano-Crespi

Il Capitale Umano

Il capitale umano - 2013

Stampa

Squali di provincia

Uno dei motivi (non pochissimi, ultimamente) per i quali si prova disgusto per il sistema-Italia è la pessima abitudine di commentare e attaccare i film senza averli visti. Le polemiche leghiste su Il capitale umano, il nuovo lavoro di Paolo Virzì accusato di «insultare i brianzoli», non sono solo pretestuose: sono profondamente scorrette. Il sospetto che si usi un film importante come pretesto per finire sui giornali è fortissimo, per cui non facciamo nomi e finiamola qui. Anzi, cominciamola: andate a vedere Il capitale umano perché è un film notevole, e uno dei motivi per cui lo è si nasconde proprio nel contesto che racconta: una Brianza che, per inciso, non è quella delle «fabbrichette» e della gente che lavora, ma quella degli arricchiti che giocano pesante con la finanza e fanno i loro sporchi affari a Milano, Londra o Wall Street; o quella degli «impoveriti» – nel caso specifico, un agente immobiliare strozzato dalla crisi – che sperano, frequentando gli squali di cui sopra, di azzeccare la speculazione giusta per uscire dai guai. Per cui, compagni brianzoli, state tranquillissimi: nessuno fabbrica mobili in questo film e il paesino di Ornate dove tutto si svolge manco esiste, quindi nessuno insulta nessuno. Virzì e i suoi sceneggiatori (Francesco Bruni e Francesco Piccolo) raccontano una storia che potrebbe avvenire in Piemonte, in Veneto o nell’Emilia rossa, o persino in Connecticut (dove si svolgeva il romanzo di Stephen Amidon al quale il film si ispira). Dovunque, insomma, esista un’élite di pochi ricchi onnipotenti e un ceto diffuso di ex benestanti terrorizzati dalla contingenza economica. Andando avanti e indietro nel tempo, con una struttura che potrebbe ricordare Rapina a mano armata di Kubrick, Il capitale umano parte da un incidente (un uomo in bicicletta viene investito da un Suv: il conducente non si ferma a soccorrerlo e l’uomo finisce in coma all’ospedale) e racconta la storia di due famiglie. Gli Ossola (Bentivoglio e Golino) sono un agente immobiliare e una psicologa; hanno una giovane figlia (Matilde Gioli, esordiente, bravissima) che ha una storiella con il rampollo della famiglia Bernaschi (Gifuni e Bruni-Tedeschi), proprietari del villone più lussuoso del paese. Accompagnando da loro la figlia, Dino Ossola fa il colpaccio: viene invitato a giocare a tennis da Giovanni Bernaschi (manca il quarto per un doppio%%) e diventa «quasi» suo amico; in particolare, riesce ad entrare – come socio di super-super-minoranza – in una gigantesca speculazione. Per acquisire alcune quote del fondo-Bernaschi, Ossola deve chiedere un prestito alla banca: se le cose dovessero andar male, sarà sul lastrico. Secondo voi come andranno? È incredibilmente denso e verosimile il contesto sociale che Virzì, Piccolo e Bruni riescono a ricostruire: Il capitale umano è veramente il ritratto dell’Italia di oggi, colta anche nella sua stratificazione sociale (si va dai ricchissimi ai proletari, o a ciò che rimane di loro). Ma è anche azzeccatissimo il lavoro sui personaggi: tutti hanno dei doppi fondi, come la ricca signora Bernaschi che è un’ex attrice e si eccita quando il locale professore di teatro (Lo Cascio) le porta in dono un dvd di Nostra signora dei turchi di Carmelo Bene; o come la psicologa che annuncia, nel momento così sbagliato che più sbagliato non si può, di essere incinta. Il talento degli sceneggiatori si misura anche sui personaggi minori: su tutti, il poliziotto che indaga sull’incidente, magnificamente interpretato da Bebo Storti. Ma tutto il cast è encomiabile, anche se la nostra personalissima palma va, da milanesi, al non milanese Gifuni che ha fatto uno straordinario lavoro sull’accento per calarsi nei panni di un pirata della finanza interessato solo ai «danée». È il primo film drammatico di Virzì (anche se qualche risata, qua e là, ci scappa) e, insieme a Tutta la vita davanti e a La prima cosa bella, è il suo migliore..

Alberto Crespi, L’Unità – 9 gennaio 2014

Categorie
cinema

il capitale umano-Caprara

Il Capitale Umano

Il capitale umano - 2013

Stampa

Quei borghesi piccoli piccoli

Può ancora servire a qualcosa la critica? Se ci fosse speranza, non perdetevi “Il capitale umano”, un grande film italiano dal respiro universale che non ha bisogno della consueta slavina di aggettivi promozionali. L’unico problema dell’opus n°11 di Paolo Virzì è quello di farci pensare al fatidico Gulliver: un gigante imbracato con mille lacci e lacciuoli dai formicolanti lillipuziani decisi a capire se possa tornargli utile. Complici poche tessere della (peraltro magnifica) sceneggiatura fuori controllo, infatti, a leggere o sentire qualcuno sembra che il suo valore stia tutto nei messaggi estraibili col minimo sforzo: un modo di porsi al cospetto del puzzle venato di noir, liberamente tratto da un romanzo dell’americano Amidon, meschino e sconfortante. Perché i riferimenti diretti, penetranti, spietati al nostro paese, a un suo emblematico habitat provinciale, ai meccanismi della finanza d’assalto che fa pagare i costi della crisi sul piano mondiale (dunque c’entrano poco le presunte induzioni al disastro degli “avidi e corrotti” imprenditori italiani), dell’aspirazione all’ascesa sociale e delle intensificate collisioni tra giovani e vecchi, piccoloborghesi e benestanti, inquadrati e alternativi, altroché se ci sono e pesano nell’ossatura narrativa; ma ridurre un procedimento un po’ alla Simenon (o alla Tom Wolfe per restare in ambito letterario Usa) al solito predicozzo dei “migliori” contro i “peggiori” connazionali fa torto al regista e ai suoi complici scrittori Bruni & Piccolo. L’espressione “Il capitale umano”, che parametra il costo dell’indennizzo in caso di morte di un assicurato, qui serve a mettere in luce i confini etici, civili, legali fino ai quali dovrebbe o potrebbe spingersi ciascuno di noi schivando o accettando la tentazione dell’imbarbarimento. Otto personaggi si dispongono, così, in un ciclo di quattro capitoli visti da diversi punti di vista come in un “Rashomon” della Brianza a partire dal notturno incidente stradale che ha ridotto in fin di vita un cameriere reduce da un catering e fatto scattare una tenace indagine della polizia locale. Assoluto è il controllo che Virzì applica a questo congegno, teso, allarmante, cupo, ma attraversato da picchi improvvisi d’isterica ridicolaggine e scorci di un conturbante erotismo chabroliano; così come superiore è la qualità del suo sguardo rivolto ai grandi spazi verdi, ai circuiti chiusi degli eleganti centri storici, alla sontuosa immobilità delle ville e al vitalismo residuale dei locali dello svago e del consumismo. L’affresco poliedrico e beffardo convince anche e soprattutto per le recitazioni calibrate come non si vedeva da anni in un film nostrano: lo strepitoso Gifuni con bieca quanto strenua immedesimazione escludente didascalie di comodo; la Bruni Tedeschi torpida sognatrice nel ruolo che vale la carriera; Bentivoglio micro-immobiliarista convinto di fare il colpo della vita come nel classico “La fiamma del peccato”; il velleitario professorino sinistrese Lo Cascio; la rivelazione Gioli nella parte della figlia e il simil-“Trota” Bernaschi in quella del suo scapestrato, ma non malvagio fidanzato; il giovane misero Anzaldo e lo zio Pierobon nient’affatto protetti dall’aureola di devianti perseguitati dal perbenismo borghese.

Valerio Caprara, Il Mattino – 9 gennaio 2014

Categorie
cinema

Il capitale umano-IlMessaggero

Il Capitale Umano

Il capitale umano - 2013

Stampa

“Il capitale umano” sbarca a New York
Applausi per Virzì e Golino

Il capitale umano di Paolo Virzì è sbarcato a New York, salutato da un’importante accoglienza del pubblico in sala e da critiche molto positive sulla stampa americana. Ieri sera, la pellicola ha registrato il tutto esaurito alla prima internazionale, invitato in concorso dal ‘Tribeca Film Festival’ come unica pellicola a rappresentare l’Italia. Il CaIpitale umano, in concorso tra le dodici pellicole scelte nella sezione ‘World Narrative Competition’, è stato proiettato nella sala del SVA Theatre del Tribeca Film Festival che si svolge dal 16 al 27 aprile, con un programma di film provenienti da 32 paesi, con 55 anteprime mondiali e 102 registi. Alla proiezione erano presenti il regista Paolo Virzì insieme alle attrici Valeria Bruni Tedeschi e Valeria Golino, la montatrice Cecilia Zanuso e il produttore Fabrizio Donvito, socio di Marco Cohen e Benedetto Habib in Indiana Production, casa di produzione della pellicola. «Siamo felici di accompagnare un talento come Paolo ad un festival internazionale prestigioso come il Tribeca Film Festival. Il Capitale Umano approda già con un sold out per questa premiere. Siamo molto sodisfatti dell’accoglienza ricevuta e dei giudizi lusinghieri della critica statunitense», ha commentato Donvito.

Distribuito in 30 Paesi. Dopo il grande consenso di pubblico e di critica in Italia, il film di Paolo Virzì, prodotto da Indiana Production, Rai cinema, Motorino Amaranto e in cooproduzione con la francese Manny Film, è già stato venduto all’estero e sarà distribuito in trenta Paesi. A parte la Francia, paese coproduttore, queste le nazioni che hanno acquistato i diritti per la distribuzione del film: Giappone, Taiwan, India, Sud Corea, Hong Kong, Turchia, Australia, Nuova Zelanda, Israele, Brasile, Canada, Stati Uniti, Belgio, Olanda, Lussemburgo, Portogallo, Finlandia, Estonia, Svezia, Norvegia, Danimarca, Polonia, Svizzera, Bulgaria, Germania, Austria, Gran Bretagna e Irlanda. Bac Filmes, la società francese di distribuzione e di vendite per l’estero, oltre a distribuire il film in Francia, ha curato le vendite estere della pellicola.

Il Messaggero – 19 aprile 2014

Categorie
bio cinema

David di Donatello-2014

BIO_hp(V4)

Premi e riconoscimenti

Premio David di Donatello come miglior attore non protagonista per il film "Il capitale umano" - 2014

Categorie
bio cinema

Nastro d’Argento-2014

BIO_hp(V4)

Premi e riconoscimenti

Nastro d'Argento come miglior attore per il film "Il capitale umano" - 2014

Categorie
cinema

Il capitale umano

Categorie
cinema

Noi 4

Noi 4

Noi 4 - 2014

Regia di Francesco Bruni

Con: Fabrizio Gifuni, Ksenia Rappoport, Lucrezia Guidone, Francesco Bracci, Raffaella Lebboroni, Milena Vukotic, Gianluca Gobbi, Giulia Li Zhu Ye

Sceneggiatura: Francesco Bruni
Fotografia: Arnaldo Catinari
Montaggio: Marco Spoletini
Musica: Lele Marchitelli
Scenografia: Roberto De Angelis
Costumi: Maria Cristina La Parola

Premio al Festival di Annecy come miglior attore – 2014

Categorie
cinema

Sul vulcano

Cinema

Sul vulcano - 2014 documentario - voice over

Regia di Gianfranco Pannone

Voci: Fabrizio Gifuni, Toni Servillo, Leo Gullotta, Donatella Finocchiaro, Iaia Forte, Enzo Moscato, Aniello Arena

Fotografia: Tarek Ben Abdallah
Montaggio: Erika Manoni
Musiche: Daniele Sepe