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Rapito

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Kidnapped - 2023

Directed by Marco Bellocchio

With: Paolo Pierobon, Fausto Russo Alesi, Enea Sala, Barbara Ronchi, Filippo Timi, Fabrizio Gifuni, Andrea Gherpelli, Samuele Teneggi, Corrado Invernizzi, Paolo Calabresi

Screenplay: Marco Bellocchio, Susanna Nicchiarelli, from the book “Il caso Mortara” by Daniele Scalise
Cinematography: Francesco di Giacomo
Editing: Francesca Calvelli, Stefano Mariotti
Scenography: ndrea Castorina
Costumes: Sergio Ballo, Daria Calvelli
Music: Fabio Massimo Capogrosso

Producted by: IBC Movie, Kavac, Ad Vitam, Match Factory Productions, Rai Cinema, Arte, with the contribution of Ministero della Cultura, Canal +, Cine’ +, Film-und Medienstiftung NRW

with the support of Région Ile-de-France, Emilia-Romagna Film Commission
Distribution: 01 Distribution Italia

In 1858, in the Jewish quarter of Bologna, the Pope's soldiers broke into the home of the Mortara family. By order of the cardinal, they came to get Edgardo, the Mortara’s seven-year-old son. According to the statements of a maid, the child had been secretly baptized at the age of six months when he was believed to be on the verge of death. Papal law is final: the boy must receive a Catholic education. In shock, Edgardo's parents try everything to get their son back. Supported by public opinion and the international Jewish community, the Mortara’s battle soon took on a political dimension. But the Pope would not agree to return the child. As Edgardo grew up in the Catholic faith, the temporal power of the Church was declining and Savoy troops conquered Rome.

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Mixed by Erry

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Mixed by Erry - 2023

Directed by Sydney Sibilia

With: Fabrizio Gifuni, Luigi D’Oriano, Giuseppe Arena, Emanuele Palumbo, Francesco Di Leva, Cristiana Dell’Anna, Adriano Pantaleo, Chiara Celotto, Greta Esposito

Screenplay: Sydney Sibilia, Armando Festa
Editing: Gianni Vezzosi
Scenography: Tonino Zera
Production: Groenlandia
Distribution: 01 Distribution

A story of passion and dreams that begins in a small town in Naples and grows into an incredible international adventure. In the magical capital of Campania in the ‘80s, where Maradona is a deity, Enrico "Erry" Frattasio transforms the mixtapes he makes for his friends into an empire, thanks to the help of his brothers Peppe and Angelo. A sensational venture that will change their lives, reinvent the concept of piracy in Italy and bring music into everyone's lives.

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 Diberti & C S.r.l. (Film Agency)
Via G. P. Pannini, 5 – 00196 Roma
Tel. 06.85304810
www.dibertiec.com

Natalia Di Iorio (for theatrical performances distribution)
info@cadmostudio.it

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fabriziogifuni@yahoo.it

Website by Sabrina Persichetti

English translation by Lynn Swanson

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Vite in sospeso (Belleville)

Cinema

Belleville - 1998

Directed by Marco Turco

With: Massimo Bellinzoni, Paolo Bessegato, Isabella Ferrari, Ennio Fantastichini, Fabrizio Gifuni

Screenplay: Marco Turco, Andrea Porporati, Doriana Leondeff
Cinematography: Franco Lecca
Editing: Simona Paggi
Costumes: Lia Francesca Morandini
Music: Riccardo Fassi

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La bruttina stagionata

Cinema

The Mature Ugly Duckling - 1996

Directed by Anna Di Francisca

With: Milena Vukovic, Isabella Bigini, carla Signoris Edi Angelillo, Fabrizio Gifuni, Luigi Verga, Valeria Sabel, Milly Corinaldi, Issa Seck, Tony Nardi, Gabriele Parrillo
Based on the book by Carmen Covito

Screenplay: Patrizia Pistagnesi, Anna di Francisca, Giovanni Robbiano
Cinematography: Luigi Verga
Editing: Simona Paggi
Scenography: Beatrice Scarpato
Costumes: Liliana Sotira

Trailer from FilmTv

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The Way We Laughed

Così ridevano - 1998

The Way We Laughed - 1998

Directed by Gianni Amelio

With: Enrico Lo Verso, Francesco Giuffrida, Fabrizio Gifuni

Screenplay: Gianni Amelio
Cinematography: Luca Bigazzi
Editing: Simona Paggi
Scenography: Giancarlo Basili
Costumes: Gianna Gissi
Music: Franco Piersanti

[…] in the finale of The Way We Laughed Giovanni chases the train which Pietro and his companion have boarded to return to the reformatory. (…) As Giovanni swaps his atavistic anguish for the more recent one of his companion – a beautiful and emblematic secondary character, a perfect specimen of the ‘sociological’ intellectual who is morphing, almost without noticing, into a ‘mass’ intellectual – we perceive all of his weakness, his inevitable lateness. […]
Tullio Masoni – Cineforum 378

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cinema

Un amore-Marangi

Un amore - 1998

"Hamlet Concert", for symphony orchestra - 2016

Press

Un amore

“E domani non venne. Fu un dolore,
uno spasimo fu verso sera:
che un’amicizia (seppi poi) non era,
era quello un amore.
Il primo: e quale e che felicità
n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste.
Ma perché non dormire, oggi, con queste
Storie di, credo, quindici anni fa?”
(Umberto Saba, “Un ricordo”)

Il secondo lungometraggio di Tavarelli, a cinque anni dal sottovalutato Portami via, conferma che il cinema dell’autore torinese si nutre di sentimenti e di atmosfere rarefatte e appare poco interessato alla nozione di realismo fisico o sociale a tutto vantaggio della centralità soggettiva dei vissuti dei suoi personaggi. La presunta oggettività e la fiducia nei dati sono materia per i sondaggi, come suggerisce una sequenza del film in cui si parla di uno studio che quantifica i litri di lacrime che si versano mediamente in una vita, le ore in cui si fa l’amore, il numero di veri amici che si conoscono, quanti giorni si dorme e così via. Di fronte alle contraddizioni del reale e alla precarietà quotidiana, Tavarelli non sembra fidarsi delle certezze matematiche e preferisce scegliere un atteggiamento poetico, come testimonia la scelta di chiudere il film sul testo della poesia di Saba, di cui citiamo in esergo le ultime due strofe. Non si tratta di fuga dalla realtà, ma al contrario di uno sguardo più fine e personale che si confronta con le cose della vita in un altro modo, privilegiando l’emozione dei sentimenti alla logica della ragione ciò non esula dalla lucida constatazione che, per tornare a Saba, “amore” possa fare rima con “dolore” e che “felicità” si specchi in “quindici anni fa”. Non appare quindi casuale che il film si strutturi sul duplice vettore dell’intensità sentimentale, che va oltre ogni scelta ponderale, e sul gioco della memoria che seleziona i momenti forti di un percorso autobiografico in chiave puramente soggettiva e senza gerarchie predefinite: c’è il primo incontro ma non la prima notte; c’è un esame scampato, ma non la laurea; c’è una lite furiosa, ma anche un incontro apparentemente di routine. I flash di una vita sono perfettamente stilizzati nei sipari animati di 30 secondi che aprono ogni capitolo, realizzati da laura federici a partire da foto di scena che si trasformano graficamente e cromaticamente, e rendono perfettamente il senso delle forze che si muovono dietro la bidimensionalità delle apparenze, in un gioco stilistico che rimanda, non crediamo casualmente, alla pittura espressionista. Spingendo fino all’estremo il partito preso della soggettività e dell’unicità di ogni rapporto amoroso, Tavarelli fa un film molto personale che non pregiudica però possibili meccanismi di identificazione dello spettatore in certe tappe dei due protagonisti. Soprattutto nella prima parte del film, e soprattutto per una certa generazione, viene spontaneo cercare di ricordarsi dove si era durante il Mundial spagnolo, con chi si è guardato il Live Aid, come si è reagito alla caduta del Muro o al bombardamento dell’Iraq. La scelta di introdurre molte sequenze con un riferimento di cronaca al periodo non serve a contestualizzare l’opera, già definita dalle didascalie iniziali sui siparietti di presentazione, ma piuttosto sottolinea la distanza tra la storia di Sara e Marco e la Storia, che appare spesso come un semplice sfondo scenografico rispetto all’intensità dei sentimenti dei due protagonisti, e alla loro continua trasformazione: curiosità, complicità, ira, dolcezza, rabbia e stanchezza. Non si tratta però di elegia del disimpegno o di riduttivismo sociale, ma al contrario di puntuale osservazione della distanza sempre più marcata tra il microcosmo del privato e il contesto storico, sociale e politico, fenomeno che sembra aver caratterizzato molti tracciati esistenziali degli ultimi due decenni. La constatazione vira nell’amarezza lungo la seconda parte del film, quando scompare ogni riferimento alla cronaca, quasi a sottolineare come da una certa età in poi, quando ci si sente ormai grandi, il mondo che si trova al di fuori dei confini sempre più stretti del proprio ego non funge neppure più da sfondo ma semplicemente cessa di esistere.
Di fronte alla progressiva trasformazione dei personaggi e alla ripetitività di certe situazioni necessariamente incentrate sul rapporto tra i due protagonisti c’era il rischio di cadere nel grigiore estetico e narrativo di quel cinema italiano “carino” e minimalista che Moretti ha ben fotografato in Caro diario, con l’ormai mitica sequenza tratta da un ipotetico film estivo di un giovane regista italiano in cui un gruppo di ex-giovani rinnega le cose orribili gridate nei cortei e rimpiange il tintinnio degli Optalidon di una volta. Pur senza ricorrere agli “splendidi quarantenni”, Tavarelli non cade nella trappola e solo qua e là si impantana in qualche dialogo eccessivamente emblematico o in soluzioni narrative un po’ acrobatiche, come accade nel doppio incontro parallelo tra le due ex-coppie, con Sara e Veronica da una parte e Marco e Filippo dall’altra, oppure nell’episodio dell’investigatore privato e del marito tradito da Sara. Sarà un caso, ma sono gli unici due episodi in cui il film non si affida completamente ai due protagonisti, che viceversa reggono sempre molto bene. Il merito della riuscita va condivisa almeno alla pari tra la straordinaria prova recitativa offerta da Lorenza Indovina e Fabrizio Gifuni, perfetti nello scolpire due personaggi sfaccettati e mutevoli, e la grande padronanza di stile di Tavarelli. Ora complice dei due protagonisti ora osservatore distaccato e impietoso, il regista riesce a tradurre il suo atteggiamento ambivalente nella scelta stilistica del piano sequenza, che non si accontenta di restituire la continuità spazio-temporale della vita vissuta qui e ora, né si propone come sterile estetizzazione compiaciuta e autoreferenziale, ma rende la complessità di ogni momento filmato e traduce linguisticamente il continuo gioco degli opposti che convivono in ogni relazione amorosa, unendo la staticità dei personaggi al movimento della camera, la linearità delle architetture visive alla sinuosità della macchina da presa, i silenzi ai rumori d’ambiente, le pause ai picchi d’azione, senza alcuna soluzione di continuità. Il gioco della poliedricità narrativa e del tentativo di sovvertire i clichés si sublima nella straordinaria sequenza in riva al mare, che segna il nuovo incontro tra i protagonisti dopo tre anni. Di una semplicità disarmante, da Super8, la sequenza sembra preludere a una nuova fase amorosa quando i due si bloccano sullo sfondo dell’abbacinante riflesso del sole nell’acqua: ma la cartolina si frantuma e la speranza si trasforma in cognizione del dolore, con Marco che rivela di essersi sposato. La camera non può più tenere la perfetta composizione di prima ma deve correre dietro a Sara che va in mare vestita, poi raggiunta da Marco che la porta a riva, ove la donna lo percuote distrutta dal dolore. Mi scuso per l’inadeguatezza delle parole, ma il gioco di pause e di azioni, i colori che assumono nuove tonalità e sfumature in un attimo, gli sguardi che mutano e diventano gesti, sono davvero cinema puro, di un’intensità rara nel panorama italiano più recente.
Ed è questa intensità che porta Un amore oltre le apparenze del film privato e minimale, fuori dal ghetto del “carino”, e ne fa apprezzare il coraggio narrativo e il costante tentativo di rendere la complessità di due percorsi esistenziali in cui le logiche del quotidiano si scontrano con l’irrazionalità dei sentimenti.

Cineforum 387 – settembre 1999

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Un amore-Columbo

Un amore - 1998

"Hamlet Concert", for symphony orchestra - 2016

Press

Un amore

Dodici frammenti di un discorso amoroso lungo diciott’anni, Istantanee in movimento, introdotte da flussi di colore dei bellissimi quadri animati di Laura Federici, colgono, quasi sempre nel respiro di un singolo piano sequenza, i momenti più o meno decisivi di un amore, al tempo indeterminato e singolare, unico e a tratti esemplare. Come ricordi vivi, attimi dilatati, gli episodi che compongono il secondo lungometraggio di Gianluca Maria Tavarelli (dopo l’esordio del 1994 con Portami via) descrivono una conversazione d’amore fra un uomo e una donna, fatta d’illuminazioni e abissi, fughe e ritorni, illusione e dolore, mentre gli anni passano segnando il volto e l’anima.
Una storia solo in apparenza semplice, minata com’è dal rischio di sconfinare nella banalità del già visto e nell’enfasi retorica, di operare semplificazioni didascaliche o di risolversi in un minimalismo di maniera. Uno dei pregi maggiori di Tavarelli è proprio quello di accettare la sfida di petto, riuscendo con coraggio e sensibilità ad attraversare “luoghi” che pensavamo di conoscere a menadito con uno sguardo sinceramente nuovo, tuttavia mai ansioso di dimostrare la propria originalità. L’utilizzo stesso del piano sequenza, che sulla carta poteva apparire una scelta un po’ troppo programmatica, una sorta di partito preso stilistico o di esibizione virtuosistica, risulta un principio di stile personale tutt’altro che gratuito: la mdp segue con partecipazione attenta i personaggi che, grazie all’interpretazione eccezionale di Ludovica Indovina e Fabrizio Gifuni, riescono in pochi gesti a suggerire il segreto del tempo, a evocare la complessità di mondi nascosti e moti interiori. Tavarelli fotografa le ombre e le luci di un rapporto senza paura di “perdere” i corpi dei suoi personaggi in zone d’oscurità o d’illuminarne la loro banalità quotidiana con una fredda luce artificiale. E se a momenti alcune battute o certi ambienti sembrano “dire” un po’ troppo, questo film possiede ugualmente una luce rara (una fiaccola, un sole, un fuoco d’artificio: tutte scintille che illuminano Un amore) in grado di accendere un’emozione molto vicina alla poesia.

Matteo Columbo, Duel – ottobre 1999

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Un amore-Lodoli

Un amore - 1998

"Hamlet Concert", for symphony orchestra - 2016

Press

L’ultimo tram
“Forse ho sbagliato, il cinema italiano non sta poi tanto male. Almeno a vedere il film di Gianluca Tavarelli”

Per fortuna siamo ancora abbastanza aperti, e abbastanza confusi, per accogliere con gioia ogni messaggio che ci consegni la prova capace di smentire quanto avevamo solennemente affermato un’ora prima. Passano mesi bui da cui ricaviamo una visione amara della vita, e la sosteniamo con pensieri profondi e citazioni di melanconici poeti, la trasformiamo quasi in un punto di forza, in un lato fascinoso della nostra personalità, come un capooto nero indossato per darsi un tono di sdegnata eleganza: e poi d’improvviso arriva una mezza giornata di sole, fuori e dentro, e tutte quelle cupe considerazioni si rivelano pura presunzione, ogni filosofica invettiva stona come un piagnisteo infantile e il nostro impeccabile cappotto nero è ridicolo in quella bella mattinata primaverile.
Dopo aver tirato il sasso e mostrato sfacciatamente la mano, ci ritroviamo con un piccolo regalo sul palmo, un dono inaspettato giunto proprio dalla direzione del nostro lancio, e ci sentiamo stupidi e contenti. Così, dopo aver severamente scritto appena una settimana fa che il cinema italiano è nelle pesti, mi ritrovo commosso ed entusiasta all’uscita di un film quasi perfetto, pensato e girato con mano sicura da un giovane regista di Torino, Gianluca Maria Tavarelli, e interpretato da attori talmente bravi da non sembrare neanche attori.
Il film, travolto e scacciato dagli eserciti trionfanti delle guerre stellari tra mummie, si è andato a asserragliare in qualche saletta laterale, poche poltrone e uno schermo come una feritoia: trovarlo non sarà facile, ma va visto ad ogni costo, bisogna portargli i viveri delle nostre 10mila lire e della nostra gratitudine. Il film si conclude con una poesia di Umberto Saba così bella che desidero riportarla interamente: “Non dormo. Vedo una strada, un boschetto, / che sul mio cuore come un’ansia preme; / dove si andava, per stare soli e insieme, / io e un altro ragazzetto. / Era la Pasqua; i riti lunghi e strani / dei vecchi. E se non mi volesse bene / – pensavo – e non venisse più domani? / E domani non venne. Fu un dolore, / uno spasimo fu verso la sera; / che un’amicizia (seppi poi) non era, / era quello un amore; / il primo; e quale e che felicità / n’ebbi, tra i colli e il mare di Trieste. / ma perché non dormire, oggi, con queste / storie di, credo, quindici anni fa?”. E questo è il film, la storia di un amore che resiste tutta una vita come una nostalgia e un rimpianto, perché a volte – sberleffi del destino – ci si incontra troppo presto, quando ancora non si è pronti per intrecciare insieme un nido e tutti i giorni futuri, quando la smania, le folate dei desideri, le aspettative giovanili bruciano troppo forte perché quel primo amore sopravviva intatto.
Poi ci si accorge che la smania ha prodotto solo macerie, che le aspettative si sono sbriciolate come grissini in attesa di un pranzo sontuoso mai arrivato, che a Parigi e a Londra nessuno ha bisogno di noi e la capanna poetica da inventare ai carabi era solo una bugia puerile. Allora si vuol fare resuscitare a tutti i costi quel primo purissimo amore, tirare fuori Lazzaro dalla tomba e spingerlo all’altare. La ragazza della storia insegue quella speranza con un furore sentimentale che fa soffrire, il ragazzo vi si rassegna come si è rassegnato quasi a tutto, a un lavoro redditizio ma meschino, a una vita subita come una sconfitta. Per quasi vent’anni i due amanti si prendono e si lasciano e si ritrovano, si sposano con altri, fanno figli, divorziano e invecchiano nel sospetto che il meglio sia già stato, e forse è perduto per sempre.
E’ la ballata del disincanto e dei giorni sprecati, una canzone amara da motel che l’uomo canta a mezza voce e la donna rifiuta con tutte le sue forze, nell’illusione che il treno passi ancora una volta. E quando il treno passa, nell’ultima notte del secolo, finalmente i due amanti salgono insieme, anche se sono stanchi, logorati dalle offese e dalle incomprensioni: e se il cielo esplode di fuochi e di ardori, le loro luci sembrano fioche e il treno è solo un tram che sferraglia gentile in discesa.

Marco Lodoli, Diario – ottobre 1999

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Un amore-Fittante

Un amore - 1998

An Affair of Love - 1998

Press

Dodici momenti doc di un amore. Descritti con bravura e coraggio

Un’autentica sfida quella lanciata dal torinese Gianluca Maria Tavarelli con il suo secondo lungometraggio (dopo il bello e sottovalutato “Portami via” del ’94): dodici quadri girati in piano-sequenza (e in 14 giorni!) legati insieme da siparietti animati di 30’’ ciascuno (opera di Laura Federici). Dodici piano-sequenza, quindi, per testimoniare i dodici momenti doc dell’intensa storia d’amore tra Marco e Sara, rivissuta in flashback, partendo dal 1982, anno del primo incontro avvenuto in una discoteca e, approdando al 31 dicembre 1999, evento epocale per la Storia e per il futuro dei due. Il titolo, preso in prestito da una poesia di Umberto Saba, è anche il paradigma di questo film semplice e articolato, in cui i piccoli spostamenti della macchina da presa vanno di pari passo con i piccoli spostamenti del cuore dei protagonisti. Che sono la tenera, corvina, appassionata Lorenza Indovina, occhi da cerbiatto, pronta a farsi sopraffare e vincere da quell’amore; e lo splendido svagato Fabrizio Gifuni, perfetto nei mutamenti che la vita “regala” dopo i trent’anni. Prodotto e distribuito dalla Pablo di Gianluca Arcopinto (che compare nell’unico episodio zoppo del film), piccolo avamposto del cinema indipendente italiano.



Aldo Fittante, Film Tv – settembre 1999